Nel Medioevo non solo il latino, ma soprattutto la tradizione universitaria di insegnare attraverso la disputatio di grandi maestri era la cosiddetta «lingua franca» dello sforzo di costruire assieme una «grammatica civile comune», capace di agevolare quell’integrazione armonica di identità religiose e culturali diverse, alla base della pace fra tutti i popoli del Continente Europeo.
Oggi, la concentrazione affannata e spasmodica dei politici europei su problemi finanziari e di mercato, e l’accanimento non meno unilaterale degli accademici europei nel voler risparmiare mezzi finanziari attraverso lo smantellamento e l’emarginazione dall’Università delle discipline umanistiche e spirituali, a favore dell’esclusivo potenziamento di quelle tecniche, non facilita certamente lo sviluppo organico di tutti i saperi scientifici al servizio della realizzazione del bene della singola persona umana e quello comune di tutta la società civile.
La redazione di Veritas et Jus non ci sta! Infatti, non passa giorno senza che qualche quotidiano segnali l’insorgere di un nuovo epifenomeno legato alle grandi tematiche della libertà religiosa, nonché al ruolo socio-culturale di religioni e identità etniche: dalla possibile introduzione di un nuovo Califfato a Vienna (cfr. Die Tagespost, 28 febbraio 2012) all’annosa questione dei Crocifissi nei luoghi pubblici (Giornale del Popolo, 7 marzo 2012) o a quella dell’inviolabilità del segreto confessionale nelle procedure penali, ribadita dal Consiglio Nazionale svizzero con 121 voti contro 47 e 5 astenuti (Corriere del Ticino, 8 marzo 2012).
Insomma in questo periodo di transizione è più che mai urgente e vitale per il bene comune della società civile europea recuperare a livello culturale e scientifico la coscienza di quanto sia falsa e nociva la competizione tra il paradigma giudeo-cristiano e quello dei diritti dell’uomo, perché come ha recentemente affermato Gregor Puppinck, Direttore del Centro europeo per il Diritto e la Giustizia di Strasburgo, accreditato al Consiglio d’Europa e dalla Corte europea – tra le due culture esiste una stretta parentela storica: «Non si può rinunciare ad una senza privarsi anche dell’altra. Vale a dire che i diritti dell’uomo senza riferimento al patrimonio spirituale europeo diventano completamente relativisti, finiscono per non sapere più che cos’è l’uomo... D’altro canto una religione che perde i suoi riferimenti morali è una religione che può diventare folle. È come l’assenza di ragione nella fede, o nella religione. I fondamenti morali, si potrebbe dire la religione ed i diritti dell’uomo, sono quindi legati» (Giornale del Popolo, 2 maggio 2011, 12). E le discipline umanistiche lo possono scientificamente documentare, come si può evincere dalla lettura di questo quarto quaderno del Semestrale Veritas et Jus.
In ogni suo singolo contributo è possibile verificare come sia vera e feconda l’indicazione data da Papa Benedetto XVI nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1 gennaio 2011: «La libertà religiosa va intesa non solo come immunità dalla coercizione, ma prima ancora come capacità di ordinare le proprie scelte secondo la verità. Esiste un legame inscindibile tra libertà e rispetto; infatti, “nell’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune” (Dignitatis humanae, 7). Una libertà nemica o indifferente verso Dio finisce col negare se stessa e non garantisce il pieno rispetto dell’altro. Una volontà che si crede radicalmente incapace di ricercare la verità e il bene non ha ragioni oggettive né motivi per agire, se non quelli imposti dai suoi interessi momentanei e contingenti, non ha una identità da custodire e costruire attraverso scelte veramente libere e consapevoli. Non può dunque reclamare il rispetto da parte di altre volontà, anch’esse sganciate dal proprio essere più profondo, che quindi possono far valere altre ragioni o addirittura nessuna ragione. L’illusione di trovare nel relativismo morale la chiave per una pacifica convivenza, è in realtà l’origine della divisione e della negazione della dignità degli esseri umani» (L’Osservatore Romano, 17 dicembre 2010, 6).
Tutto ciò non significa certo che di fronte ai problemi emergenti sia sempre facile trovare soluzioni normative in cui fede e ragione si conciliano, anche perché – come afferma André Glucksmann – entrambe sono decisamente in difficoltà nella cultura occidentale. Nonostante l’impegno dei recenti pontefici, in particolare del Beato Giovanni Paolo II, lo sforzo interdisciplinare per far emergere il «legame intrinseco che unisce un autentico atteggiamento religioso ed il grande bene della pace», anche dopo il grande evento creativo dell’incontro di Assisi (27 ottobre 1986), è e rimane un «cantiere aperto» (A. RICCARDI, Giovanni Paolo II. La biografia, Cinisello Balsamo 2011, 454) a cui parlamentari, accademici e ministri di culto devono prestare massima attenzione.
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